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L’urgenza di un grido in un patto tra generazioni
Published on 05.07.2022
- Interview
Approfondiamo i contenuti dello spettacolo proposto al Festival da LaGeste riportando degli estratti da una conversazione con Joke Laureyns e Kwint Manshoven, fondatori di Kabinet K e coreografi di “promise me”.
Come nasce “promise me?
KM: Nell’estate 2020 abbiamo organizzato con i bambini protagonisti della nostra precedente creazione dei laboratori affinché tornassero a giocare insieme dopo il lungo periodo di inattività forzata. Due settimane di improvvisazione con una squadra che conoscevamo molto bene, ma senza la finalità di uno spettacolo. Anche se in realtà l’idea di lavorare sul desiderio del superamento dei limiti ci frullava in testa da tempo. Durante il workshop siamo stati colpiti dall’entusiasmo selvaggio con cui i bambini si lanciavano nell’arena, la tensione dei loro corpi. Una risposta al tempo presente, permeato di paura, cautela, desiderio di sicurezza.
promise me porta elementi di novità nel vostro percorso creativo?
JL: C’è un’evoluzione nelle modalità di lavoro in quest’ultimo pezzo. Tre bambini erano già nel cast precedente insieme a Thomas Devos (musicista) e a Kwint: questo significa familiarità con il nostro linguaggio. Poi abbiamo conosciuto Zélie e sua sorella Téa insieme a Ido Batash agli Ateliers dei Ballets C de la B. Già abituati al lavoro di improvvisazione si sono inseriti senza problemi nel gruppo: arrivavamo al nocciolo rapidamente. I bambini sono veri coautori di questo spettacolo, per noi una novità che apre traiettorie da esplorare…
Tutti i vostri lavori creano utopie in reazione al mondo reale…
JL: Parliamo spesso di ‘santuario’, di un luogo di fiducia da abitare con utopistica visione. Ma sono anche lavori dissidenti i nostri. Cerchiamo un’onestà radicale quando si tratta dell’esistenza umana. Non edulcoriamo la realtà.
KM: promise me è spesso rudem crudo, manifesta un’intimità brutale. La prima parola che abbiamo usato durante la creazione è stata ‘incoscienza’ incappando nella poesia Ode to my Scars (tratta dalla raccolta Odes) dell’autore fiammingo David Van Reybrouck il quale scrive: “Sì, devi usare il tuo corpo con parsimonia, ma hai anche bisogno di usare la vita con parsimonia?
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